IT | intervista: Michela Sacchetto
M.S. Ciao Stefano, di nuovo al lavoro? A pochi mesi dal recente intervento urbano di ROSSOCUBO ci ritroviamo ora in montagna, in uno dei luoghi da te già vissuti durante le passate azioni ambientali.
S.V. Eh, si.. lo sai, quando mi fisso su un’idea…
M.S. Ho preparato alcune domande, ma inizio con le tre che mi sono venute d’impulso. Dunque, perché in questo luogo?
S.V. Il luogo è solitamente la fonte d’ispirazione, non un obiettivo. Così se l’ultima installazione era in un contesto urbano, ora sono in un luogo più aperto, tra le montagne. E’ in questo luogo che ho trovato lo stimolo per portare a compimento un’idea suggeritami un mese fa. Dopo una sommaria progettazione su carta, mi ritrovo ora ad ultimare il lavoro con i particolari che ho fatto preparare per questa nuova versione del cubo.
M.S. Una versione che si propone come spazio “abitabile”, perché e in che modo?
S.V. Per me è solamente un pretesto per avvicinare più persone. In questo caso confrontandomi con la serie di pre-esistenti unità stanziali temporanee, ho accostato al campeggio questa unità “abitativa” con la caratteristica di essere aperta al cielo, dove magari ci si pernotta pure volentieri. In senso pratico, non è un’unità abitativa classica. Il cubo non ha proprio tutto ciò che serve ed è anche scomodo da adattare ad un uso nomade, ma la mia idea è che le persone ne usufruiscano come esperienza abitativa temporanea, come contesto dentro cui avviene un altro tipo di esperienza soggettiva, che è il centro di interesse del mio lavoro.
M.S. Di questo parleremo sicuramente dopo. In qualche modo hai voluto rendere il cubo funzionale, perché?
S.V. Sono partito da questo concetto: all’inizio fu una piccola scultura, che ora si è evoluta, adattata e accessoriata per una funzione più articolata. A dirla tutta, di fare questa variante non ci avevo neanche pensato, piuttosto mi è stata concessa l’idea. Poi giusto per vederla realizzata, l’idea, ho voluto farla crescere. In fin dei conti, non posso prevederne l’utilità per gli altri.
M.S. Vuoi rimanere evasivo… Allora proseguiamo tornando a parlare più in generale del tuo lavoro artistico. Un lavoro nel quale sembrano esserci due costanti, ovvero l’inserimento di oggetti nell’ambiente e la possibilità data, di modificarli, nel senso di “viverli”.
S.V. Io vedo un oggetto come un anello di congiunzione. L’inserimento di questo in un luogo aperto deriva dall’indole umana di costruire un suo ambiente artificiale. In questo senso mi piace dare una duplice valenza alla possibile fruizione dell’installazione: una suggerita dall’evidente conformazione e l’altra, soggettiva, derivata da semplici spunti che ad essa associo. Intendo così sfruttare l’oggetto, vivendolo come azione di ricerca per un equilibrio con l’ambiente.
M.S. Introduci quindi un elemento estraneo nel vivere quotidiano quasi per dar consapevolezza del rapporto stesso uomo/ambiente?
S.V. Di più, consapevolezza delle azioni. L’esperienza soggettiva di cui ti parlavo si riferiva in particolare a un’azione, quella di raccogliere le idee trovandosi in un contesto che permetta di immergerle direttamente nell’ambiente circostante, cercando in seguito di darle un peso, coltivandole.
M.S. Per questo hai dato al cubo la configurazione attuale, ovvero ROSSOCUBO CON VISTA?
S.V. Certo! praticamente sono partito dalla struttura in alluminio, realizzata nel 2009, del cubo rosso già di medie dimensioni, ora espanso di 40 centimetri così da renderlo parzialmente abitabile, almeno nella funzione che mi interessava sviluppare, cioè la permanenza notturna. Anche il contesto che accoglie il cubo porta a mantenere il suo originale rivestimento in tessuto naturale. Infine vi ho aggiunto una copertura in materiale trasparente. All’interno del cubo quindi ci si trova per riposare, condizione primaria per volgere lo sguardo rilassato verso il cielo e potersi così soffermare sul proprio tempo, speso eventualmente a realizzar idee.
M.S. E questa è l’azione che tu, senza direzioni, né tanto meno imposizioni, suggerisci al fruitore? un’esperienza di apparente isolamento, che in realtà coincide in una comunione ritrovata con un ambiente di vita naturale e con la propria identità interiore, eventuale generatrice di idee?
S.V. Effettivamente si tratta di un’azione che aiuta alla momentanea sospensione dal nostro ordinario, per vedere se siamo ancora in grado di “stupirci”. L’ambiente montano circostante è un ottimo medium neutrale, che permette di dare peso a qualcosa di effimero, soggettivo, ma potente come le idee.